I vetri per fineste. a)In epoca romana; b) nel Medioevo – fabbricazione delle lastre per soffiatura; c)la lastra del Perotto – la colata su piastra; d) il processo Float - la ricottura del vetro piano.
- a) Roma conobbe l’uso del vetro con la conquista dell’Egitto. Vetrai assiro-babilonesi usarono per primi la canna da soffio, che entrò in uso a Roma agl’inizi del primo secolo dell’era volgare. La conservazione di reperti dell’epoca romana è dovuta ai reliquiari delle tombe patrizie. La ricerca archeologica vi trovò coppe di varie specie, anche a mosaico, bottiglie per profumi, balsamari, lacrimatori, urne cinerarie, anfore.
- La produzione di vetro piano avveniva inizialmente attraverso una colata di vetro fuso a mezzo di stampi . Le dimensioni erano molto ridotte, ma già orientative di un procedimento che avrebbe dovuto perfezionarsi nei secoli. Nell’area archeologica di Classe, presso Ravenna, venne rinvenuta una lastra di circa cmq (20 x 30), la quale presentava delle porosità, dalla parte, in cui era stata a contatto con lo stampo d’argilla, mentre dalla parte opposta mostrava i segni concentrici dovuti alla colata. Segno evidente questo di un anello mancante nell’evoluzione del sistema, cui difettava l’operazione del rullo metallico, per spianarla e omogeneizzarne lo spessore. Già durante l’Impero di Claudio venivano portate a Cuma e a Napoli, lastre per finestre delle dimensioni di cm.30 X 40. Dopo l’Impero di Nerone, l’industria vetraria italiana si estese alla Gallia e in particolare a Treviri, durante la tetrarchia di Diocleziano. In Renania, la produzione della lastra a soffio trovò un forte incremento, specialmente nel territorio di Colonia.
- b) In epoca bizantina (VI – VII sec. dopo Cristo), le arti ricevettero, in Italia, un nuovo incremento per opera dei Greci. A Ravenna, la presenza dei dignitari di corte, in rappresentanza dell’Imperatore d’Oriente, portò alla creazione di fabbriche e di opifici, per la costruzione delle abitazioni e delle basiliche. Qui, nelle vicinanze di un complesso di fornaci per la ceramica, vennero rinvenute colature vetrose, fritte in vari stadi di lavorazione, frammenti di oggetti in vetro di recupero. La fornace produceva eleganti suppellettili, procurava le tessere musive per decorare le basiliche, piccole lastre per le chiese e per le finestre degli edifici. La città di Classe, ad esempio, nel mosaico di Sant’Apollinare Nuovo, appare circondata da mura e popolata di edifici caratterizzati da portici architravati e finestre al piano superiore.
- Ecco come viene prodotta la lastra a soffio (secoli XII-XIII) :
- Il levatore preleva dal crogiuolo una certa porzione di vetro, alla quale dà la forma di una piccola sfera cava, chiamata “pallina”. Questa viene lasciata raffreddare un poco e quindi ricoperta con altro vetro, immergendo la pallina nel vetro fuso e facendo fare contemporaneamente alla canna qualche giro su se stessa. Facendo rotolare la massa di vetro entro l’incavo di un attrezzo simile a un mestolo di legno, detto nel gergo altarese, maioz, mantenuto sempre bagnato, il levatore fa assumere alla pallina di vetro in pasta una forma sferica abbastanza regolare. Lasciatala raffreddare un poco, il levatore la ricopre nuovamente con altro vetro ancora una o più volte, fino a che, sull’estremità della canna, è stata raccolta la quantità di materia necessaria per la formazione del cilindro, da 8 a 15 Kg di peso. A questo punto il levatore passa la canna al “terzo”. Questi, facendo ruotare abilmente la canna su se stessa, appoggiata sul “piolo” o forcella, fa assumere alla pasta di vetro, con l’aiuto di un grande maioz in ferro, la forma prestabilita. Giunta la lavorazione a questo punto, il terzo passa la canna al soffiatore per la formazione del cilindro. Questi riscalda nuovamente la levata, che nel frattempo si è irrigidita, e la porta verticalmente entro “il pozzo”. La massa di vetro caldo, grazie al suo proprio peso tende ad allungarsi; contemporaneamente, soffiando nella canna, il maestro riesce a dare alla pasta di vetro la forma definitiva di un cilindro, che può raggiungere una lunghezza sino a 120 cm. In un secondo tempo, il cilindro viene nuovamente riscaldato e, con le forbici, da parte del maestro, liberato delle due calotte. Viene poi tagliato col diamante, nel senso della lunghezza, secondo una generatrice, e di seguito spianato, cioè aperto a foglio.
- La maggiore abilità, per quanto riguarda questo pesante e complesso tipo di lavorazione , era dovuta, nel Medio Evo, agli Alemanni e ai Francesi del Nord. Ebbe il suo maggiore sviluppo nei secoli XII e XIII, durante la costruzione delle grandi cattedrali gotiche, dove la vetrata diventa un muro di luce, che muta ad ogni ora del giorno a seconda della forza del sole. Le formelle di vetro venivano incastonate in sottili strisce di piombo, che fungevano da telaio, e quindi istoriate con le vite dei Santi , l’Infanzia, i miracoli e la Passione di Gesù, i passi più celebri dell’Antico Testamento. Generalmente nota è la cattedrale di Chartres, con oltre duemila metri quadrati di superficie di vetrate.
- Quando la vetrata, privilegio della chiesa, passò alle case private, il vetro incastonato nel piombo era troppo pesante perché il battente fosse mobile. Allora nella finestra, con un’anta fissa, si aprì un solo battente (soluzione tedesca) oppure si congiunsero pannelli in vetro fissi con pannelli in legno mobili (soluzione olandese), mentre, nelle città francesi, le intelaiature a vetri furono spesso fisse. Per lo più, nei paesi e nelle campagne, il vetro era ancora sconosciuto: esistevano finestre mobili con impannate di pergamena, di carta oliata, di foglie di scagliola, di tela trattata alla trementina.
- c) Il Perotto – Bernardo Perotto, nato ad Altare nel 1619 ed emigrato in Francia al seguito di suo zio, l’industriale Giovanni Castellano, riprende l’antico sistema di colaggio del vetro fuso entro lo stampo, già noto nelle vetrerie di Altare, e lo rinnova dando alle lastre dimensioni mai ottenute prima. Il vetro fuso, dopo l’affinaggio, viene versato dal crogiuolo su una tavola di materiale refrattario, bordata di regoli che fissano la dimensione e lo spessore della lastra. Allo stato semi-viscoso, viene laminato da un rullo di rame e, a operazione terminata, spinto in un forno a ricuocere per un raffreddamento progressivo che dura anche più giorni. Questo sistema , con cui il Perotto riuscì a produrre lastre e specchi di 227 cm. di altezza, rimase pressoché invariato sino al 1920, quando subentrò il nuovo sistema Faurcault .
- d) Il processo float è stato messo a punto da Pilkington nel 1959, ed ha praticamente rivoluzionato l’industria del vetro piano. Dal forno di fusione il vetro fuoriesce passando attraverso dei rulli laminatori. Successivamente il nastro entra in un tunnel dove “galleggia”” su un bagno di stagno. Nel tunnel il nastro assume la forma perfettamente piana: la superficie inferiore è a contatto del metallo fuso, la superiore viene spianata mediante pulitura a fuoco. I dispositivi di ricottura sono posti in fondo al bagno e sono costituiti da cassoni contenenti coppie di rulli che sostengono la lastra. Gli andamenti delle temperature sono regolati da bruciatori a gas o da resistenze elettriche. Alla fine del percorso, il nastro viene tagliato.
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