Diascalia del Museo citante Altare e le produzioni "straordinarie" che i vetrai dovevano fare per i Bonhomme. |
Verres à serpent. |
Verre à boutons (Bonhomme) |
Verre à serpent extraordinaire. |
Nel 1559, nel territorio di Liegi, vi erano fabbriche dei Ferro e dei Colinet. Nel 1568, Nicola Francisci aveva fatto a Liegi i primi tentativi, ma le fornaci lavoravano irregolarmente, non senza alternative di arresti e di riprese. Ad iniziare una vera e propria attività industriale furono i Bonhomme, nella prima metà del Seicento, i quali apportarono migliorie tecniche e rinnovarono il riscaldamento dei forni con il carbone fossile (huille) d'impiego pericoloso allora, essendo il suo uso rudimentale e non ancora suffìcientemente sperimentato (1). Occorrevano grandi superfici di griglie e un buon tiraggio per ottenere una fiamma lunga e regolare che lambisse i crogiuoli e la volta del forno e un'attenzione costante da parte del fuochista, poìchè la condotta del fuoco era assai più difficile che con la legna. I capostipiti delle nuove generazioni di artieri furono gli Altaresi, immigrati regolari, assai più dei Muranesi, clandestini e fuggiaschi. La façon d'Altare predominò nella fabbricazione liegese e risulta, da contratti stipulati tra gli artigiani e i Bonhomme, che i veneziani talvolta erano invitati a lavorare alla façon d'Altare (2). A Liegi lavoravano pure Tedeschi, Lorenesi, Champenois, Valloni. Gli Italiani si dedicavano alla produzione artistica, eseguendo lavori sulla base di disegni di architetti, ed anche d'invenzione propria.
La vetreria in Belgio conservò, per tutto il Seicento, un carattere prioritario per l'economia del paese e i contratti stipulati con i vetrai furono tra i più vantaggiosi. Tra gli specialisti, oltre ai maestri, occorre aggiungere "les conceurs" ossia gl'incaricati della preparazione della composizione del vetro, "les tiseurs", gli incaricati della fusione. "Alcuni Veneziani vennero nelle nostre officine, malgrado le leggi del loro paese, - scrive lo Chambon al riguardo delle condizioni dei Muranesi -, ma le misure severe prese contro i transfughi non rimasero senza effetto. Alcuni operai, che avevano manifestato la volontà di venire ad Anversa, verso il 1565 e il 1589, dovettero comparire davanti ai tribunali della loro città. Eppure la stima in cui gli abili artigiani erano tenuti fece si che si offrissero loro dei contratti, cui difficilmente resistevano. Per questo, appena fuori della loro città, essi diventavano dei nomadi, senza nome, che "apparivano e sparivano", e non si conosce esattamente chi rimanesse a Liegi. Nella seconda metà del XVII secolo essi furono completamente sostituiti dai vetrai Altaresi, i preferiti, se non i più ricercati. Questi ultimi venivano richiesti ai Consoli dell'Arte della loro città, i quali si rendevano garanti della loro condotta e li lasciavano partire previo pagamento di una somma, che variava a seconda della quotazione del maestro. La durata della loro assunzione variava da uno a tre anni. Tanto per portare un esempio, tra il 1643 e il 1651, agli Altaresi veniva pagato un salario di 98-120 fiorini di brabante al mese, oltre all'alloggio e al vitto. L'indennità di mensa talvolta era sostituita dal lavoro di una domestica, che curava la casa del maestro. In caso di interruzione involontaria del lavoro per più di tre settimane, essi ricevevano 24 patacche al giorno."
Nella medesima epoca, gli Alemanni erano pagati in ragione di 20 patacche di brabante per ogni centinaio di grossi vetri comuni. Essi ricevevano anche l'alloggio e il riscaldamento. I produttori di bottiglie, Alemanni, Lorenesi o Champenois, alla metà del 1600, guadagnavano mezzo pataccone per ogni centinaio di bottiglie, 48 soldi per 400 boccette. I soffiatori di cilindri per le lastre, di origine lorenese, venivano assunti in équipe con i fonditori, gl'impagliatori, i tizzatori, i tagliatori da un reclutatore che se ne assumeva l'incarico. Con lui il datore decideva il salario complessivo da versare all'intera èquipe e gli pagava un "diritto" sui prodotti, da 12 a 13 soldi e mezzo per ogni "lien" da sei lastre. Toccava poi al capo dell'èquipe, sulla base della somma ricevuta, pagare i soffìatori (20 livres per settimana e per ciascun uomo, verso il 1670) e i loro aiutanti. A tutto il personale erano dovuti nutrimento e alloggio. Oltre al buon salario, i vetrai godevano di esenzioni dalle tasse e di altri privilegi. Ma, a partire dalla metà del Settecento, le disposizioni governative non furono più cosi protettive nei confronti dei vetrai ed emesse soltanto a sostegno dei proprietari. Le misure limitative della libertà fino ad allora goduta, tra cui quella di non poter passare da un fabbricante all'altro senza il consenso scritto del primo, crearono antagonismo tra padroni e salariati. Da quel momento il lavoro del vetraio, "molto difficile e chiuso nel numero dei suoi addetti", fu messo sullo stesso piano delle altre industrie (3).
Il Pholien presenta un elenco (4) dei contratti dei "gentiluomini" altaresi. Un intero capitolo (5) il Pholien dedica ai Massari, ai quali era stata conferita la nobiltà per meriti imprenditoriali e artistici. Li troviamo a Liegi alla "Rochette" (sous Chaudfontaine), a Charles Fontaine (prés Saint Gobain) in Piccardia, a Chatrices et alla Haraz e nella Champagne, a Javardan (en Fercé) nella Bretagna, a Léffonds in Borgogna, a Nevers, a Verdun, ecc., dove essi si associavano nell'industria con le famiglie vetraie dei Brossard, dei Bruzzone, dei Colinet, dei Ferro, dei Grenni, dei Perotto, dei Racchetti. Indipendentemente dalle loro alleanze con queste famiglie vetraie, essi impegnavano i loro capitali nell'industria con altri notabili, quali i Boiltaux, i Bigault, i De Cornu, les Mosson, les Ondins, i Dordolot, ecc.e a Lìegì essi lasciarono la loro discendenza. "Nei documenti e negli atti notarili, nonostante la varietà dell'ortografia, dovuta alla fantasia degli scribi, il loro nome non deroga dall'ultima matrice altarese", scrive il Pholien, con un velato entusiasmo. In data 16 novembre 1684 si trova un'esenzione dal servizio militare di Pietro e Antonio Massari e Guglielmo Castellano gentiluomini vetrai, loro accordato dal Principe-Vescovo Massimiliano Enrico di Baviera. Pietro Massari, scudiero, Signore de l'Isle, aveva sposato nel 1689, Anna Francesca Grenni e il loro primogenito era stato battezzato a Lìegì. nella chiesa di Santa Veronica. Verso il secolo XVIII, parte di questa famiglia cessò di lavorare, parte continuò durante qualche tempo, senza più dedicarsi all'attività manuale. Tra i primi troviamo dei dottori in diritto, in medicina, preti e notai. L'ultimo dei Massari ad avere dei discendenti, nella seconda metà del secolo XVIII, fu il notaio Stanislao Massari, il quale lasciò un figlio, Carlo Luigi, morto celibe, e delle figlie; una di esse, Clotilde, sposò un ricco industriale, l'altra, Irene, sposò uno Sperti di Ponzone (Liguria). In seguito questo ramo della famiglia si estinse. "La famiglia Massari, fondatrice della Vetrerie di Iavardan , era divenuta titolare della Viscontea di Fercé. Nei vari documenti (1559-1564), i Massari sono qualificati Visconti di Fercé, Signori della Houssaye in Bretagna", precisa il Pholien che, successivamente, stabilisce un parallelo chiarificatore col paese d'origine: "Il loro stemma corrisponde per la figura, ma non per i colori a quello dei Massari di Altare. Nei Registri di Altare di Caricamento e Scaricamento dei magnifici Consoli dell'Arte, moltissimi Massari vi figurano dal 1685 al 1700 come Consoli".
Il Pholien presenta un elenco (4) dei contratti dei "gentiluomini" altaresi. Un intero capitolo (5) il Pholien dedica ai Massari, ai quali era stata conferita la nobiltà per meriti imprenditoriali e artistici. Li troviamo a Liegi alla "Rochette" (sous Chaudfontaine), a Charles Fontaine (prés Saint Gobain) in Piccardia, a Chatrices et alla Haraz e nella Champagne, a Javardan (en Fercé) nella Bretagna, a Léffonds in Borgogna, a Nevers, a Verdun, ecc., dove essi si associavano nell'industria con le famiglie vetraie dei Brossard, dei Bruzzone, dei Colinet, dei Ferro, dei Grenni, dei Perotto, dei Racchetti. Indipendentemente dalle loro alleanze con queste famiglie vetraie, essi impegnavano i loro capitali nell'industria con altri notabili, quali i Boiltaux, i Bigault, i De Cornu, les Mosson, les Ondins, i Dordolot, ecc.e a Lìegì essi lasciarono la loro discendenza. "Nei documenti e negli atti notarili, nonostante la varietà dell'ortografia, dovuta alla fantasia degli scribi, il loro nome non deroga dall'ultima matrice altarese", scrive il Pholien, con un velato entusiasmo. In data 16 novembre 1684 si trova un'esenzione dal servizio militare di Pietro e Antonio Massari e Guglielmo Castellano gentiluomini vetrai, loro accordato dal Principe-Vescovo Massimiliano Enrico di Baviera. Pietro Massari, scudiero, Signore de l'Isle, aveva sposato nel 1689, Anna Francesca Grenni e il loro primogenito era stato battezzato a Lìegì. nella chiesa di Santa Veronica. Verso il secolo XVIII, parte di questa famiglia cessò di lavorare, parte continuò durante qualche tempo, senza più dedicarsi all'attività manuale. Tra i primi troviamo dei dottori in diritto, in medicina, preti e notai. L'ultimo dei Massari ad avere dei discendenti, nella seconda metà del secolo XVIII, fu il notaio Stanislao Massari, il quale lasciò un figlio, Carlo Luigi, morto celibe, e delle figlie; una di esse, Clotilde, sposò un ricco industriale, l'altra, Irene, sposò uno Sperti di Ponzone (Liguria). In seguito questo ramo della famiglia si estinse. "La famiglia Massari, fondatrice della Vetrerie di Iavardan , era divenuta titolare della Viscontea di Fercé. Nei vari documenti (1559-1564), i Massari sono qualificati Visconti di Fercé, Signori della Houssaye in Bretagna", precisa il Pholien che, successivamente, stabilisce un parallelo chiarificatore col paese d'origine: "Il loro stemma corrisponde per la figura, ma non per i colori a quello dei Massari di Altare. Nei Registri di Altare di Caricamento e Scaricamento dei magnifici Consoli dell'Arte, moltissimi Massari vi figurano dal 1685 al 1700 come Consoli".
1. FI. Pholien, La verrerie au pays de Liège. Etude rétrospective. Liège, 1899, p.75.
2. Pholien, pp. 78-80.
3. R. Chambon, L'Histoire de la Verrerie en Belgique, Bruxelles, 1955, pp. 148-152.
4. Pholien, pp. 85-89. "Giovanni Castellano e suo fratello lacopo stipulano un contratto nel 1643. Antonio Mirenghi: il 1/2/1648, rinnovato il 19/3/1650. lacopo Castellano: il 19/3/1650, rinnovato il 7/6/1651. I fratelli Antònio e Battista Grenni: il 2/8/1650. Sebastiano Massari, assistito dai fratelli Francesco e Vincenzo, rinnova il suo contratto il 6/9/1663. Antonio Buzzone aveva lavorato in precedenza presso Henri Ruyson, ma l'aveva lasciato a causa delle "ingiurie e violenze" subite ed era passato alle dipendenze dei Bonhomme il 24/12/1665. Guglielmo Castellano: 21/7/1668. Leandro Ferro: 12/8/1669. Francesco Mirenghi: 3/9/1671. Guglielmo Varaldo: 24/9/1672. Bartolomeo Massari: 6/5/1676. Ottavio Massari: 14/11/1679. Roberto Castellano: 5/1/1678. Corrado Mirenghi: 14/11/1678. Cristoforo Ponta: 18/11/1680. Guglielmo Castellano: 8/1/1681. Claudio e Giacomo Massari: 13/4/1683". Un altro elenco di Altaresi presenti a Liegi è ricavato dagli Archivi di Stato e dai Registri Parrocchiali di Liegi dall'archivista M. Van de Casteele e da Henry Schuermans (primo Presidente onorario alla Corte d'Appello di Liegi e archeologo, membro della Commisione del Museo reale d'Antichità di Bruxelle. Egli, nel 1877, fece raccogliere i disegni delle diverse forme di vetro che figuravano sui tavoli dei Musei di Stato). Dalle suddette ricerche risultano i seguenti nomi: Gian Battista Babino a Liegi dal 1624 al 1627; Bertoluzzi di Altare nel 1702; Tommaso Bormioli nel 1664; Antonio Buzzone dal 1625 al 1665; Leandro Ferro dal 1649 al 1658; Antonio e Battista Grenni nel 1650; Antonio Massari dal 1684 al 1689; Bartolomeo Massari dal 1676 al 1694; Claudio Massari dal 1685 al 1688. Francesco Massari dal 1663 al 1664; Giacomo Massari dal 1685 al 1691;Ottavio Massari dal 1674 al 1694; Pietro Massari dal 1684 al 1689; Sebastiano Massari dal 1663 al 1694( I Massari rimasero a Liegi fino alla metà del XVIII secolo ossia fino alla Rivoluzione Francese). Antonio e Gian Antonio Mirenghi lavorarono a Liegi dal 1645 al 1668; Corrado Mirenghi nel 1678; Francesco Mirenghi dal 1671 al 1672. I Mirenghi rimasero a Liegi sino al 1727. Giovanni Negri rimase a Liegi per un anno nel 1666. Odasso (?) fu a Liegi verso il 1625; di qui si trasferì per lavoro in Spagna. Un Cristoforo Ponta era già nelle Fiandre nel 1585. Felino Pertica era a Liegi nel 1626. Alessandro Ponta nel 1674. Cristoforo Ponta nel 1680. Ottavio Ponta nel 1601. Eugenio Saroldi nel 1664. Marco Aurelio Saroldi nel 1664. Marco Eugenio Saroldi nel 1663. Genesio Varaldo vi lavorò dal 1663 al 1645. Guglielmo Varaldo dal 1638 al 1672".
5. Pholien, pp. 91-107.
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