- Su academia, testo più completo, inedito.
- Riassunto, su Wiki come parte di un discorso più ampio, sulle parlate liguri e la lingua genovese.
Particolarità fonetiche del linguaggio altarese.
L'altarese è una parlata di transizione tra due aree linguistiche di prestigio: il ligure costiero e il piemontese nella sua varietà sud-occidentale. La palatalizzazione dei nessi FL, Pl, BL, Gl, dà all'altarese un colore ligure ( in altarese abbiamo sciu fiore; sciomma fiamma; cianen pianino; giozza ghiaccio; dugg doppio), come pure il rotacismo della L intervocalica (es. mürén = mulino) e la lenizione di P e B. Tuttavia la lenizione non prosegue fino alla totale scomparsa, rendendo l'altarese ben diverso, all'orecchio estraneo, dalle parlate della costa. Partecipa poi di isoglosse comuni a tutta l'area cosiddetta gallo-italica, quali l'assibilazione dei nessi CE, CI, la palatizzazione di CT che passa a JT oppure addirittura a CC (es. nœcc= notte, fricc= fritto) e il passaggio della U lunga latina alla U francese. Seguendo esiti tipici dell'oltregiogo, ad Altare, anche TR e TT passano regolarmente a C (es. Nioci = noialtri, tücci = tutti), mentre l'esito di GU, seguito da vocale, è V, come in Piemonte (es. vòrda = guarda). Se la negazione si fa prima del verbo (es. e gni vag= non ci vedo; e n' pósc= non posso, e n' nun pii= non ne prendo) come nei dialetti liguri, e non dopo , come in piemontese, tuttavia la perdita delle vocali atoniche finali eccetto la "a" - la frequente caduta di suoni vocalici intermedi alla parola ( es.: fnugg invece di *fenuggio, lvè invece di *levậ), gli articoli (er, ra) avvicinano la parlata di Altare al Monferrato, all'Alessandrino, rendendola veramente una varietà linguistica a se stante, anche nella percezione dei parlanti. Delle parlate liguri, l'altarese conserva caratteristiche arcaiche come ad esempio il suono palatale di "r" tra vocali, già scomparso dalla parlata genovese nel corso del Settecento. Molti i casi da sottolineare di caduta della "r" come ad esempio nel genovese giâ (girare), mentre la "r" persiste nell'altarese: girè; uinà (orinare) in altarese ürinè; scigoȇlo (fischietto) in altarese sciguré; pitûa vs. pitüra; tȏa (tavola) vs. tóra, ecc. Nell'ambito dei rapporti morfologici tra le due lingue, relativamente all'infinito dei verbi di prima coniugazione, si nota la differenza tra l'uscita in "a" del genovese e la costante ucita in "è" aperta dell'altarese, tipicamente piemontese. Es. Atisâ (attizzare), in altarese tizè; serâ (chiudere) in altarese srè; atoâ (attuare), in altarese atuè; ecc. L'affinità al francese, nota da sempre, è comune a tutte le lingue dell'Italia nord-occidentale.
Grafia
Se per le lingue attestate occorre sempre conformarsi alla grafia storica, per l'altarese non eistono testi scritti, a parte la grammatica normativa del prof Sguerso. Benché la grafia italiana sia inadatta ad esprimere il gran numero di suoni dell'altarese, essa è purtroppo la sola che i parlanti conoscano, ed occorre conformarvisi. Il compromesso trovato ricorre, per la /u/ anteriore "francese" alla umlaut, mentre per la vocale semichiusa /ø/ usa il digramma eu. La a "palatale", sempre tonica, è indicata con o perché così suona ai parlanti di Altare, mentre , in altri paesi dell'Oltregiogo ponentino, essa conserva un timbro intermedio tra la o e la a toscana. Come in genovese, alla vocale o lunga del latino corrisponde regolarmente una vocale simile alla u del toscano. Notiamo che il Prof. Silvio Sguerso utilizza una scrittura diversa, che conserva la a e la e etimologiche anche quando esse sono passate, rispettivamente a /o/ e al dittongo /ai/.
L'affinità al francese, nota da sempre, è comune a tutte le lingue dell'Italia nord-occidentale. Non è possibile ignorare, in questa parlata, come in tutti gli innumerevoli e tanto diversi dialetti della penisola, l'irrompere della lingua italiana che si sostituisce alla maggior parte dei vocaboli ancestrali o li modifica profondamente.
Vocali :
a /a/ come in italiano
ó /ó/, con accento acuto, si legge "chiusa"come in italiano . In genovese rappresenta il suono breve della vocale u italiana .
o /o/ pronunciata semplicemente o aperta (nella vulgata altarese). Corrisponde regolarmente in genovese e in altre parlate della Liguria, nonché in toscano, ad una a tonica . Es.: lòit (latte), ròva (rapa), fòv (favo). Nelle altre parlate d'oltergiogo è pronunciata con un suono palatale intermedio tra o ed a.
ü /y/ , /ɥ/ u anteriore "francese" .
u /u/ come in italiano
ù con accento tonico
I /i/ come in italiano, /î/ quando lunga e tonica, /j/ nei gruppi di più vocali come in sccoja (scaglia), fœja (foglia).
é /é/ chiusa (carafén)
/ɛ/ /è/ aperta (parlè)
/ə/ vocale media centrale, schwa.
œ vocale medio-bassa, anteriore , arrotondata: fr. peur; ted. können
eu /ø/ vocale medio-alta, anteriore arrotondata: fr. peu; ted. lösen
L'accento circonflesso verrà usato quando una vocale è ripetuta in fine di parola oppure il suono è allungato nel corso della parola stessa.
Consonanti:
si conserva la fonetica italiana dei digrammi ch, gh, gl, gn, sc davanti alle vocali e, i; si conserva anche il suono di ce, ci. In fine parola, si ritiene necessario raddoppiare le consonanti cc e gg quando si pronunziano dolci, come in focc (fatto), dugg (doppio).
c – g davanti a vocale si comportano come in italiano.
La s ha suoni diversi : s impura si pronuncia /sc/ italiana /ʃ /come in scia, / tranne in parole in cui si verifica uno scwha, come sgund (secondo), stanta (settanta), sragn (sereno), sraina (rugiada).
s davanti a vocale ha il suono aspro dei dialetti gallo italici
scc : un gruppo che rappresenta una tipicità del genovese. E' presente pure nel dialetto altarese dove l'accostamento del suono /sc/ è seguito dal suono sonoro della /c/, sia /c /dolce, come in misc- cè (mescolare), mosc- ci (maschi), sia /c/ dura come in sc- cadè (scaldare), sc-cùri (scorrere), sc-carchì (scolpire), ecc.
In altri lemmi dialettali, dove la s è pronunciata con un suono sibilante simile alla z, si ricorre al fonema /dz/ (affricata alveolare sonora), come in radzù (rasoio), radzuira (asta adoperata nella riparazione dei forni fusori).
Il gruppo sch si deve leggere duro come in italiano. Es. avisch, bósch, frasch.
Per la nasale velare ƞ si mantiene il simbolo della grafia fonetica internazionale.
La z possiede il duplice suono sordo e sonoro. La z sorda, sia essa all'inizio della parola, sia all'interno, sia raddoppiata, si legge/ tz/, come ad esempio in "giozza" = giotza ( ghiaccio), "zeu"= tzeu (gioco), zücr= tzücr (zucchero), zé = tzé (cielo) ecc.
X: questa consonante rappresenta il suono, non presente in italiano, della J francese, regola seguita anche dal dialetto genovese e dalle relative grammatiche. Es.: dȇxe, lûxe, cóxin, xatta, ecc..
Brevi cenni sulla costruzione della proposizione.
Soggetto.- Nel costrutto della proposizione altarese è costante il raddoppiamennto del soggetto, indicato, nella terza persona, con sial u sm.; silla a sf.; siai e sille e pl. m. e f.. Nella prima persona il soggetto è indicato con mi e s. ; nioci e pl. Nella seconda persona con ti e t'[1] s.; vuioci e pl
La forma impersonale dei verbi intransitivi vuole un soggetto fittizio, come in francese: es.: u riva (arriva) – u vén (viene) – u cieuv – u naiva (nevica) – u gragnœra (grandina) – u i a sragn ( è sereno) – u lampa (lampeggia) – u truna (tuona).
Forma negativa.
Mentre i dialetti piemontesi hanno sviluppato strutture negative discontinue, come il francese : ne…pas, ossia anteriori e posteriori al verbo, il dialetto altarese, come il dialetto ligure, mantiene il tipo latino di negazione preverbale . Davanti ad aggettivi, avverbi, verbi di modo infinito ( participio, gerundio) si usa nun. Es.:nun sarò ( non salato), nun d'lung ( non sempre), nun schricchì (non cresciuto). Davanti a verbi di modo finito , l'avverbio di negazione si colloca nella forma clitica /n'/. Es. er cheug u n' ismüsc-cia er breu (il cuoco non mescola il brodo); er matat u n' cianz ( il bambino non piange); mi e n' vén (io non vengo); sial u n'iscriv (lui non scrive) .
La particella pronominale /ne/ ha la forma /n' /davanti a vocale , nun davanti a consonante. Nel primo caso diciamo ad esempio : e n'ova piò tanci ( ne avevo preso tanti); nel secondo: e nun truvreu inti boschi (ne troverò nei boschi).
Nella forma personale negativa, davanti a consonante, in presenza della particella pronominale /ne/ si usa il costrutto /n'/ (negazione preverbale) + /nun/ . Es: Non ne vogliamo = nioci e n' nun vurumma; loro non ne vogliono = siai e n' nun vœru. Davanti a vocale, si usa semplicemente la negazione preverbale /n'/. Es.: Non ne avevevamo = e n'ovmu.
Nella forma impersonale negativa, in presenza dello stesso pronome /ne/, l'avverbio di negazione /n'/ compare, dopo il soggetto fittizio, col fonema consonantico nasale /ղ' /, seguito dal /se/ impersonale e dal pronome /nun/. Es.:1) Non se ne poteva sprecare = u ղ' se nun puxiva xghèirè , dove /u/ è il soggetto fittizio, /ղ'/ la negazione preverbale , /se/ il riflessivo, /nun / la particella pronominale ne. 2) Non se ne sarebbero mai andati: siai e ղ' se nun saresciu moi indòi. 3) Non se ne vedeva che un palmo = u ղ' se nun veghiva ch'(i)œn pòrm .
La particella "ci" (complemento di luogo), nella forma negativa, si unisce per eufonia a "non" e dà "gni". Es. e gni vog = non ci vado.
Tempi del verbo
Vengono usati tutti i tempi e i modi italiani del verbo, tranne il passato remoto che, in area ligure, sembra essere scomparso dall'Ottocento.
Sintassi
Il dialetto rispetta le regole della sintassi latina di cui porto brevi esempi di proposizione ipotetica: se ti e t' vuraisci vnì in zitò, mi e vènrè a piète a ra sc-tazión ( se tu volessi venire in città, io verrei a prenderti alla stazione); se sial u m'aisa parlò, mi e avrè pensò a invitè su sœ e su lòlla.(se lui mi avesse parlato, io avrei pensato a invitare sua sorella e sua zia); se siai e amaisó ra natüra, e n' taierésciu i erburi (se amassero la natura, non taglierebbero gli alberi).
Fa eccezione la proposizione relativa, la quale riduce l'uso dei pronomi al "che", impiegato anche nella forma di complemento, con una particolare costruzione. Es.: il libro di cui parlai ieri = u libr che n'hœ parlò ieri .
Esempio di testo
Ra fòbbrica a occupòva quinz miila e œtzaint metri quadròi tra ra sc-trò nœva e ra via Paleologo. Inti ogni quaranta du século XX, u s' travaiòva er vairi in trai grandi caṣugni, multo ariéggioi cun sex furni a rutazión, cun üna prodüzión giunaliéra, per i furni ciù grandi, ed zaint - zaint e vint quintoli ed vairi gianc e ed vintizincu quintoli ed vairi giòn. Intu réport der tere, argille e quarziti e vnivo maxinoie da üna grossa mœra, diccia mulòzza. Qui e s' fabricòvu er paile e i blócchi per i furni. U report di bancarèi u furniva er còs-sce per l'imbalogg, furme e ütensili ed lagn, ra mubilia per i üfizzi. I réporti " inciscion, coupage e arrotéria " e cumpletovu, cun l'incixión e ra molatüra , i travoî di vedrei.
Ra füxina di frèi a fòva pòrt di réporti dra S.A.V. I frèi, battandi i fèri, sc-cadòi cun ra fórgia (focolare su cui i fabbri arroventano i ferri), suvra l'ancùîs (incudine), e furgiòvu er putralle (travature alte quanto i forni) di furni e i tiranti, i bulugni ( da invidè in zimma ai tiranti der putralle) ch' e s' duxivu regulè man man ch'er paréti in refrattori der furn e si sc-cadòvu, in manéra che i tiranti e n' se rimpissu per er carù.
I frèi e rangiovu er còղe. E mittivu, inti punti usuròi di furni, in sosctituzión der piosctre d'elettrofuso ( ed préxi trop élévò), der casceutte ed fèr, lunghe quant ra larghézza di furni, a circulazión d'eva furzò (kg. 5 / cm2), èva frœggia dra Burmia ch'a sc-curiva inter casceutte e, quandi a sciurtiva, multu còda, a vniva chiîa e ütilizzò inti répòrti ed rifinitüra.
L' énergia elettrica ch'a vniva furnìa ai réporti ed produzión e ed rifinitüra a s' prodüxiva in manéra autónóma intra céntrol élettrica. Qui, du(e) lòrghe cinghie ed cheuir e girovu in continuazión tra er vulan der mutù Diesel e ra puléggia du generatù, e i trasc-mettivo er muvimaint.
I frèi e rangiovu er còղe. E mittivu, inti punti usuròi di furni, in sosctituzión der piosctre d'elettrofuso ( ed préxi trop élévò), der casceutte ed fèr, lunghe quant ra larghézza di furni, a circulazión d'eva furzò (kg. 5 / cm2), èva frœggia dra Burmia ch'a sc-curiva inter casceutte e, quandi a sciurtiva, multu còda, a vniva chiîa e ütilizzò inti répòrti ed rifinitüra.
L' énergia elettrica ch'a vniva furnìa ai réporti ed produzión e ed rifinitüra a s' prodüxiva in manéra autónóma intra céntrol élettrica. Qui, du(e) lòrghe cinghie ed cheuir e girovu in continuazión tra er vulan der mutù Diesel e ra puléggia du generatù, e i trasc-mettivo er muvimaint.
Er report per la scelta dra rottüra, u s' truvòva feura dra fòbbrica, int'üna pruprietò dra S.A.V. ciamò "Canugna" (canonica), vxina a ra Stazión Ferruviòria e a l'antiga giéxa di Benedettigni. U laburatóri chimic u l'era int l'üfizzi du Diretu Tecnich, ch' u l'òva, sc-quoxi, er médémmè mansción der cunciadu (v.). U préparova ra cumpuxizion, u fòva prœve du rendimaint der combusctibile e der materie primme, u preparòva i disagni di furni e u nun séguiva ra riparazión e ra cosctrüzión. Int l'ufficina mécconica, cun u turn e ra fraisa (fresatrice), e vnivu préparòi i sc-tampi, disegnòi dar còp-ufficina, e rangiòi i macchinòri ch'e s' vasctòvu.
No comments:
Post a Comment