Tuesday, September 27, 2005

Vetri al ferro-manganese

Vetro giallo limone al ferro manganese. Affinanti e loro uso alla SAV.

ELSO BRONDI, marzo 1979.

Viene esaminato l’uso dell’ossido ferrico e del biossido di manganese per la colorazione giallo-limone del vetro a scopi industriali. Il rapporto tra la quantità di ferro e manganese nella miscela vetrosa è il parametro cruciale che ne determina il colore, che può variare tra il giallo e il viola. Un piccolo crogiolo è stato utilizzato per le prove di composizione. Si discute l’utilità degli affinanti e il loro uso presso la SAV .

Vetri al ferro manganese.

A.

1. Instabilità degli ossidi di ferro e di manganese.

Il vetro richiesto, nel marzo del 1979, dal Cav. Angelo Masserini, proprietario della SAVAM di Altare XE "Altare" , già Società Artistico Vetraria Anonima Cooperativa era un giallo –verde, trasparente, per articoli da tavola,da produrre in seguito su scala industriale.

Il giallo-verde limone, caratterizzato da una tonalità del tutto particolare, si ottiene, nella maniera più semplice, con l’ossido di uranio, UO3. Questo ossido era usato un tempo in vetreria senza troppe attenzioni, mentre oggi le migliori conoscenze in materia di radioattività e le conseguenti norme sanitarie, lo fanno escludere dalle composizioni

Come è noto, dall’associazione degli ossidi di ferro e di manganese, e a seconda delle condizioni più o meno ossidanti o più o meno riducenti, si possono ottenere le più svariate qualità di colore, dal verde al verde giallo, al fumé1 al giallo bruno, al viola.

L’ossido ferrico (Fe2O3) comunica al vetro il colore giallo. Nel corso della fusione si dissocia in ossido ferroso e ossigeno, FeO e O, assumendo nel vetro proporzioni diverse. Il colore di un comune vetro sodico-calcico, unicamente colorato a mezzo di ossidi di ferro, assume una tinta tanto più azzurra quanto più ferro contiene allo stato ferroso e tanto più gialla quanto più ferro contiene allo stato ferrico.

Il biossido di manganese, MnO2, si dissocia facilmente sotto l’azione della temperatura e genera ossido manganico e ossigeno. L’ossido manganico comunica al vetro il colore viola, ma si dissocia a sua volta in ossido manganoso e ossigeno. Si stabilisce pertanto nel vetro un equilibrio tra ossido manganico e ossido manganoso, il quale è in funzione del grado di ossigenazione dell’atmosfera al di sopra del vetro.

La gradazione del viola non è sempre costante. E’ sufficiente che la fusione duri più a lungo, oppure a pari tempo che raggiunga temperature più elevate e ancora che l’atmosfera sul bagno si faccia riducente perché il colore subisca delle variazioni.

L’anitride arseniosa (As2O3) agisce sul biossido di manganese in senso riducente; pertanto, in una miscela fusa in un ambiente neutro, composta da SiO2, Na2CO3 , CaCO3 , As2O3 e MnO2, la trasformazione da As2O3 a As2O5 avviene tutta a spese del biossido di manganese, il quale si trasforma in ossido manganoso ed il vetro, anziché viola, risulta incolore o appena giallo:

2MnO2 + As2O3 = 2MnO + As2O5.

Se invece nella stessa miscela si sostituisce As2O3 con nitrato di sodio (NaNO3), si ottiene vetro viola:

2MnO2 + 2NaNO3 = Mn2O3 + Na2O + N2 + O6

e così, sostituendo As2O3 con solfato di sodio, Na2SO4, si ottiene ancora vetro viola di tono più attenuato, ma più affinato del primo:

2MnO2 + Na2SO4 = Mn2O3 + Na2O + SO3 + O.

Gli ossidi di manganese hanno una grande instabilità chimica. Inoltre per il loro elevato peso molecolare tendono a precipitare e ad accumularsi sul fondo delle vasche di fusione. Un aumento della temperatura della vasca di fusione, dovuta a una normale esigenza di produzione, quale ad esempio l’arresto di un feeder2- durante la produzione con macchine automatiche - per cambio di articolo, si riflette anche sul vetro morto del fondo, il quale, reso per un certo spessore meno viscoso, si lascia “scremare”3 dalla convezione ed entra in circolo, alterando il colore e l’omogeneità di tutta la massa.

Le alterazioni di colore consistono, per la maggior parte, in striature di un marrone intenso, più o meno estese sulla superficie della bottiglia, ben visibili su vecchi manufatti, conservati nelle cantine di abitazioni private.

Decisi progressi nella condotta della combustione e della temperatura della vasca di fusione, dovuti in gran parte all’uso dei bollitori4, hanno contribuito ad estinguere il fenomeno. Tuttavia, attorno al 1960, i vetri al ferro manganese hanno iniziato a scomparire dalla produzione di bottiglie, lasciando il posto a quelli al ferro-cromo, i quali rappresentano una sufficiente protezione dei prodotti enologici. Per i vini che richiedono un’ulteriore protezione dalla luce, quale poteva assicurare il fumé, si ricorre al vetro giallo-ambra- scuro allo zolfo carbone, il quale protegge tutta la zona attinica compresa tra 450 mm e l’ultravioletto.

2. Prove di produzione

Per la prova al ferro manganese, si fece ricorso ad un fornetto a crogiuolo scoperto della capacità di Kg. 30, scaldato a mezzo di gas GPL alla temperatura di 1400° C.5

Si prese come base la dose di due ossidi coloranti ( Fe2O3 ed MnO ), ricavata dall’analisi chimica di un vetro per bottiglie Bourgogne, di colore giallo-verde, seguito in produzione, in un forno Unit Melter, nel dicembre 1963, presso le Verreries de la Gare et A. Bellotte Réunies, Quiévrechain (Nord)- Francia.

Tabella SEQ Tabella \* ARABIC 1. Composizione del campione di vetro Bourgogne

Ossido

Composizione (%)

SiO2

70,55

Al2O3

1,74

Fe2O3

0,83

MnO

2,40

CaO

9,90

MgO

2,55

SO3

0,30

Na2O

11,23

K2O

0,50

Il colore ultimo del vetro non dipende mai soltanto dalla composizione, ma da una serie di fattori quali l’atmosfera ossidante o riducente, dalla temperatura del bagno di fusione e dalle caratteristiche dell’affinaggio. Per questa ragione si rese necessario ricalibrare la composizione originale in funzione delle caratteristiche del forno per raggiungere il colore giallo-verde desiderato. La prima prova mirava a riprodurre esattamente le proporzioni tra i coloranti che avevamo riscontrato nel campione di Borgogna XE "Borgogna" , per separare il contributo alla colorazione dovuto agli ossidi da quello dovuto alle diverse caratteristiche fisiche del bacino di fusione. In data 7 marzo, nel crogiolo venne fusa la miscela riportata in Tabella 2, del peso complessivo di Kg. 25:

Tabella SEQ Tabella \* ARABIC 2. Composizione della miscela di vetro fuso nel crogiolo in data 7 marzo. Il peso totale delle materie prime era di 25 Kg.

Acqua

Kg. 0,300

Sabbia di Fontainebleau (SiO2)

Kg. 15,000

carbonato di sodio

Kg. 1,200

carbonato di potassio

Kg. 4,500

carbonato di bario

Kg. 3,000

Solfato di sodio

Kg. 0,150

Nitrato di sodio

Kg. 0,300

Ossido ferrico (Fe2O3)

Kg. 0,176

biossido di manganese (MnO2)

Kg. 0,625

Analisi degli ossidi:

Ossido

Composizione (%)

SiO2

68,306

BaO

10,614

Na2O

3,989

K2O

13,966

Fe2O3

0,801

MnO

2,322

Somma degli ossidi:

99,998

Il confronto fra l’analisi del vetro Bourgogne e l’analisi del vetro ottenuto dal crogiolo evidenzia valori degli ossidi coloranti pressoché uguali (i due ossidi coloranti presi a base dell’analisi Bourgogne si rapportano a Kg 15 di sabbia Fontainebleau asciutta), ma presenta notevoli differenze fra gli altri componenti e, in particolare, nel valore degli alcali.

Vetro Bourgogne: Na2O+K2O=11,730

Vetro mezzo cristallo al bario per crogiolo: Na2O+K2O=17,955

L’alta dose di fondente (cioè Na2O e K2O) raccorcia il tempo di fusione ed evita di sollecitare le pareti del crogiuolo. Inoltre la maggiore fluidità del vetro favorisce l’amalgama dell’inevitabile colaggio delle pareti del crogiuolo con il vetro stesso, consentendo di utilizzare più a fondo il contenuto del crogiuolo. Non inaspettatamente la prima prova diede vetro di colore viola scuro.

Nella seconda prova, in data 8 marzo, venne escluso il nitrato di sodio dalla composizione, coll’intento di limitare la formazione di Mn2O3. Notiamo che la miscela Bourgogne non ha presenza di nitrato. Il colore risultò ancora viola.

Il 9 marzo fu eseguita una terza prova. Nella composizione già priva di nitrato, si operò l’inversione dei pesi degli ossidi coloranti, esplicitamente:

L’ossido ferrico (Fe2O3) venne portato da g.176 a g.625

Il biossido di manganese venne portato da g. 625 a g.176.

Il vetro risultò del colore giallo verde desiderato- appena più verde del campione Bourgogne -operando, come si è voluto dimostrare, unicamente sul rapporto Fe2O3 – MnO2, fermi restando tutti i fattori del processo di fusione, miscela – temperatura – durata fusione, atmosfera.

3. Commento alle prove.

I risultati ottenuti con la terza prova nel crogiuolo scoperto – caratterizzati dalla su citata inversione degli ossidi coloranti – in rapporto a quelli dell’Unit Melter, trovano spiegazione attraverso l’esame dei due processi di fusione.

Nell’Unit Melter, il vetro giallo - verde Bourgogne - veniva fuso in un bacino di dimensioni 8’ X 36’, equivalenti a mq. 26,80, di superficie del bagno. La convezione era accelerata da cinque bollitori ad aria compressa e l’atmosfera era tenuta ossidante sulla fusione e riducente sull’affinaggio (Nell’Unit Melter il consumo di combustibile della zona di affinaggio è più elevato di quello della zona di fusione). Il forno alimentava una sola macchina automatica, la Roirant 7, e la produzione, nel periodo di tempo preso in esame, era stata impostata prima sulla bottiglia da mezzo litro e poi su quella da quarto, con un’estrazione rispettivamente di ton. 24 e di ton. 19,5/24h.

Il rapporto estrazione superficie bagno era il seguente:

24,0 : 26,8 = 0,890

19,5 : 26,8 = 0,720

Questo rapporto è indice di una lunga permanenza del vetro a contatto con la fiamma.

La temperatura della zona di affinaggio relativa all’estrazione di ton. 24 era di 1460°C. La misurazione, secondo la tradizione vetraria, veniva eseguita con lo strumento portatile puntato contro la parete opposta al foro di puntamento.

Il forno non mancava di una strumentazione completa della MECI di Parigi XE "Parigi" , per la misura e la registrazione delle temperature e delle pressioni, nonché per la condotta automatica del forno stesso.

Tuttavia, la zona di fusione era esclusa dall’automazione della temperatura perché le isole di miscela, nel transitare sulla verticale delle radiamatiche, ne falsavano la misura generando un andamento sinusoidale dell’alimentazione del combustibile. La pressione massima dell’atmosfera sul bagno era di 3/10 di torr.

Nel crogiuolo scoperto la miscela, del peso complessivo di Kg. 25, fu caricata in un solo tempo. Il crogiuolo non fu riempito completamente e la miscela venne fusa più protetta dall’influenza della fiamma. Circa l’atmosfera, mancavano i mezzi per analizzare i fumi, ma escludo la natura riducente. La miscela era di gran lunga più alcalina di quella impiegata per la produzione di bottiglie Bourgogne, quindi,per la rapidità della fusione, rimaneva favorita la conservazione dell’ossido manganico, Mn2O3. Infine, la temperatura massima di fusione non poteva superare i 1400°C.

Ponendo a confronto i due processi di fusione, si rileva che nel primo – forno Unit Melter – il biossido di manganese è stato sottoposto ad una importante riduzione; nel secondo – crogiolo – le condizioni del processo di fusione sono state tutte favorevoli alla formazione e conservazione della maggiore percentuale di ossido manganico, per cui, come già precisato, il viola è prevalso nettamente.

Circa la fusione del 9 marzo, la terza, è evidente che le dosi di questa prova modificano il contenuto di Fe2O3 e di MnO dell’analisi presa a base:

Fe2O3 0,83% si porta a Fe2O3 2,93%

MnO 2,40% si porta a MnO 0,67%

Detta percentuale di Fe2O3 (2,93 %), unita a MnO ( 0,7%), dovrebbe, con un identico processo di fusione, rendere un vetro di colore verde scuro nell’Unit Melter sopra descritto. Un vetro di così alto contenuto di ferro, pur essendo favorito nella fusibilità, non è consigliabile poiché riduce ulteriormente il potere di trasmissione.

A conclusione di questo primo argomento ed a conferma di quanto esposto circa l’instabilità degli ossidi di manganese, riporto un passo di Bernard Long: “La coloration dépend non seulement des proportions d’oxide ferrique et de bioxide de manganèse dans la mélange vitrifiable, mais aussi: de la nature de l’atmosphère au-dessus du verre pendant la fusion, de la temperature atteinte pendant l’affinage, de la durée de la fonte et de l’affinage “.

B. Affinanti del vetro.

L’accenno fatto ai prodotti affinanti - anitride arseniosa, nitrato sodico, solfato sodico, ecc. aventi lo scopo di eliminare dal fuso le bolle che si originano dai gas occlusi e che provengono dalla decomposizione delle materie prime - suggerisce di aggiungere qualche nota e qualche dato circa l’impiego degli stessi incorporati nelle miscele.

L’anitride arseniosa esercita un grande ruolo nei vetri (esclusi i vetri allo zolfo carbone, agli ossidi di manganese, al selenio ), gettata nel crogiolo in pezzi a fine fusione, incorporata nella miscela in unione ai nitrati di sodio e di potassio (Nei vetri al piombo non si ecceda in quanto l’arsenico dà luogo ad arseniati di piombo di aspetto lattiginoso e quindi di effetto opacizzante).

Durante la fusione, l’anitride arseniosa si trasforma in anitride arsenica As2O5, a spese delle materie che liberano ossigeno. A vetrificazione ultimata, a temperatura superiore ai 1200°C, si dissocia secondo lo schema : As2O5 = As2O3 + O2. L’ossigeno agisce allora sulle piccolissime numerose bolle di gas imprigionate nella massa vetrosa, ne aumenta il volume e ne provoca l’ascesa, provvedendo all’affinaggio e all’omogeneizzazione del vetro.

L’anitride arseniosa e il nitrato di sodio, impiegati separatamente, hanno una tenue efficacia sull’affinaggio; opportunamente uniti esercitano un’azione affinante efficacissima, che si manifesta secondo lo schema:

2NaNO3 + As2O3 = As2O5 + Na2O + 2NO + ½ O2.

L’impiego dei due prodotti, anitride arseniosa e nitrato di sodio, per l’affinaggio del vetro bianco, è da tempo remoto, basilare e, a tutt’oggi, insostituibile, sia nelle fusioni a mezzo di crogioli, sia nelle fusioni a mezzo di bacini. L’impiego è esteso anche ai vetri colorati da ossidi, quali ad esempio:

CuO, Co2O3 – NiO - Nd2O3 - Cr2O3 – UO3.

Le dosi di As2O3 e di NaNO3 variano a seconda del tipo di fusione:

As2O3 bacino

da 0,050 a 0,200 per 100 parti di sabbia

As2O3 crogiolo

da 0,3000 a 0,600 per 100 parti di sabbia.

NaNO3 bacino

da 1.000 a 3,500 per 100 parti di sabbia

NaNO3 crogiolo

da 3,000 a 6,000 per 100 parti di sabbia.

Per vetri particolari come il cristallo, ad alta densità, lucentezza, rifrangenza, il nitrato di sodio viene sostituito dal nitrato di potassio, il quale, a differenza del primo, anche da solo può agire da affinante. Il potere affinante del KNO3 è dovuto al fatto che si dissocia ad una temperatura elevata, compresa tra 1400 e 1450°C, e il pieno effetto non si produce che dopo un tempo abbastanza lungo, liberando ossigeno ed azoto.

Da 3 a 6 parti di KNO3 per 100 parti di sabbia possono dare buoni risultati di affinaggio.

C. L’impiego degli affinanti nella Società Artistico Vetraria di Altare XE "Altare"

Nella Società Artistico Vetraria di Altare XE "Altare" , si usavano come affinanti nel forno Schwaller – sup. del bacino mq. 14 - per il normale vetro bianco, l’anitride arseniosa, il nitrato di sodio, il solfato di sodio, nella percentuale rispettivamente di 0,3000 – 1,000 – 1,000 per 100 parti di sabbia.

Il suddetto forno venne utilizzato sino al 2 giugno 1950 per la produzione a mano e a semiautomatica. Per consuetudine e in seguito per contratto sindacale, le lavorazioni a mano dovevano restare ferme per tutto l’arco della domenica e delle festività infrasettimanali per cui spesso il forno rimaneva in veilleuse anche per tre giorni consecutivi. In questi casi, g.300 di affinanti per Kg.100 di sabbia, dose alta per un forno a bacino di detta superficie, operavano, oltre che per un buon affinaggio, per evitare o almeno attenuare la colorazione bruna, caratteristica delle soste prolungate.

Il solfato di sodio anidro, in piccole dosi, viene addizionato con successo all’anitride arseniosa e al nitrato di sodio. Inoltre, sempre in piccole dosi, concorre a detergere, o a rendere a specchio, la superficie del bagno resa schiumosa da tracce di silice sfuggite alla fase di fusione. Di questo fenomeno danno conferma prove ripetutamente eseguite sul forno a bacino Schwaller, ora togliendo ora aggiungendo il solfato di sodio (1 Kg. su 100 parti di sabbia).Le prove hanno risposto regolarmente rendendo la zona di affinaggio ora opaca (- solfato di sodio) , ora lucida (+ solfato di sodio).

D. Crogioli.

La temperatura, nei forni a crogiuolo non si può spingere oltre i 1450° C. Non si deve insistere nel tenere a lungo gli stessi sulla temperatura di affinaggio, per evitare il loro afflosciamento. Mi riferisco ai crogioli a basso tenore di allumina , 24% circa, precisamente ai famosi crogioli di terra Grossalmerode, la più indicata per vetri fini da articolo da tavola, che non ammettono la presenza di fili e di corde.

Inoltre con i crogioli, e così pure con i forni giornalieri, si debbono rispettare i tempi di fusione perché subordinati ad un solo turno di lavorazione del vetro in essi contenuto. Le maestranze non si possono fare attendere.

Più difficile si presenta la situazione con più crogioli scoperti inseriti nella stessa camera di fusione, i quali debbono giungere tutti assieme alla fine dell’affinaggio, per cui si deve fare ricorso a dosi più elevate di affinanti - con la conseguenza di vetri resi più fluidi da lievi maggiorazioni di fondente - ed in qualche caso ad acceleranti quali il fluoruro di calcio e i composti del boro.

E. Bacini.

Nei forni a bacino è cosa normale una temperatura del bagno di 1550°.

Nel caso particolare di una produzione di bottiglie per vini ed acque minerali, l’affinaggio è affidato esclusivamente al solfato di sodio e nella misura assolutamente non superiore a Kg. 4,000 per Kg. 100,000 di sabbia.

1. Bibliografia:

Cousen and W.E.S. Turner, Journal of the Society of Glass Tecnology, Sheffield, 1928, p.175

P. Salaquarda, Glastechnische, Berichte, 1930, pp.263-270.

Bernard Long, Les propriétés physiques et la fusion du verre, Paris, Dunod,1933, pp.354-355

G.Scaringi- T.Toninato- B.Locardi, Vetri, Milano XE "Milano" , 1977.

.

1 Il colore fumé è un verde - giallastro scuro, chiamato vetro nero. E’ il colore caratteristico delle vecchie bottiglie per vini, che presenta un alto potere assorbente dei raggi attinici.

2 Alimentatore meccanico per macchine soffiatrici. Sostituisce l’operaio levatore della lavorazione manuale a soffio.

3 scramè, termine vetraio che significa schiumare o liberare dalle incrostazioni. In questo particolare caso assume il significato di “staccare” dal fondo

4 Sono piccoli iniettori d’aria compressa (tubi in acciaio al molibdeno del diametro di mm.13) posti sul fondo della vasca di fusione, sulla verticale del punto caldo, posizionati per mezzo di compattissimi blocchi di elettrofuso (Al2 O3 46%, ZrO2 41%, SiO2 12,3%), resistenti all’erosione del vetro in movimento. Questo perfezionamento contribuì a risolvere il grave problema dei vetri di colore scuro e in particolare di quelli al ferro manganese, i quali formavano, sul fondo delle vasche, uno spesso strato di vetro fermo, più denso del normale, di colore marrone. L’aria iniettata, nel suo moto di ascesa, solleva il vetro che le sta attorno e lo trasferisce in superficie. Altro vetro, scorrendo sul fondo, viene richiamato nell’area dei bollitori e così di seguito. Questo processo fa sì che il lento moto di convezione, proprio di tutti i bacini e che ha origine dal punto caldo, assuma un’energica accelerazione, la quale va ad interessare tutta la vasca nella sua ampiezza e profondità. Viene così evitato lo spesso strato di vetro morto sul fondo e viene consentito di fondere vetri scuri, a basso potere di trasmissione, in vasche profonde da 1200 a 1400 mm. Inoltre, l’energico movimento della massa vitrea contribuisce a rendere il vetro omogeneo e a favorire l’evacuazione delle minutissime bolle da fusione e quindi a favorire l’affinaggio.

5 Il gassogeno era posto appena sopra la suola sulla quale posa il crogiuolo e a lato dello stesso.

Per proteggere il crogiuolo dalla fiamma diretta, e quindi dalle spaccature, si era posta una parete di mm 30 tra la fiamma e il crogiuolo. La parete era alta e lunga quanto il crogiuolo e la sua base non era continua. Due luci consentivano di non lasciare troppo in ombra la base del crogiuolo stesso. La fiamma, dopo di avere girato attorno al crogiuolo, scendeva sotto la suola.

No comments: